"Scrivere la storia significa incasinare la geografia": mappe postcoloniali

Roč.37,č.2(2016)

Abstrakt
Dopo aver precisato il ruolo delle mappe nel quadro dei progetti espansionistici dell'Europa e i diversi usi di questo topos nella letteratura (post)coloniale, il contributo si focalizza su due opere emblematiche, che condividono la stessa ipotesi di fondo, ovverosia l'idea che la storia individuale e collettiva siano strettamente correlate alla cartografia del territorio urbano e nazionale: La mia casa è dove sono di Igiaba Scego e Maps di Nuruddin Farah. Si dimostrerà che, mentre il romanzo di Scego giunge a una proposta identitaria conciliatoria basata sulla fiducia nella narrazione come strumento "per rendere conto di sé" e su una disinvolta equivalenza tra l'"io" e il "noi"; quello di Farah, concependo il rapporto tra l'individuale/familiare e il collettivo/nazionale secondo le modalità dell'allegoria e facendo del protagonista un narratore inaffidabile, approda a una convincente critica della narrazione come privilegio delle elite metropolitane, e delinea una nuova geografia di rapporti interpersonali e internazionali dove le frontiere risultano completamente denaturalizzate.

Klíčová slova:
letteratura postcoloniale; letteratura della migrazione; Nuruddin Farah; Igiaba Scego; identità; narrazione; mappe; geografia; focalizzazione; città

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